Il Tappeto Volante, i Mulini di Paros e … Robinson Crusoe (dedicato a Georgos e alla sua ospitale famiglia)

Il Tappeto Volante, i Mulini di Paros e … Robinson Crusoe (dedicato a Georgos e alla sua ospitale famiglia)

Articolo di EVANGELISTA BASILE

Il Tappeto volante

Nella spensierata atmosfera dei cartoni animati anni ’80, Alladìn e il suo tappeto magico non erano in cima alle mie preferenze di bambino. Mi appassionavano di più le avventure di Lupin III e i combattimenti dell’Uomo Tigre. Però l’ebrezza di poter volare su un tappeto l’ho sognata tante volte.

Quando ho visto in mare i primi wing-foil mi sono ricordato di quel sogno ricorrente da bambino e mi sono ripromesso che prima o poi anch’io sarei decollato. Più poi che prima, pensavo, perché non sarebbe stato facile trovare il tempo e le energie per imparare un nuovo sport così tecnico come il wing-foil.

Ma l’occasione si è presentata quasi per caso. Prima delle vacanze estive un mio caro amico mi ha scritto un messaggio per tirarmi su di morale dopo l’infortunio che non mi consente da mesi di correre: “vedrai tornerai a volare”. In quel momento ho pensato: siccome non posso volare correndo – ammesso che lo abbia mai fatto – provo a volare davvero, col wingfoil.

Partiamo quindi in vacanza con la famiglia al completo – il fido cane Luke incluso – con destinazione Naxos e poi Paros, nelle Cicladi. Il furgone quest’anno era stivato più del solito per farci entrare anche il nuovo staff del wingfoil: tavola, ali (wings) di diversa dimensione, foil, leash e tanta buona volontà. Con noi anche l’attrezzatura per windsurf e kite nel caso in cui il progetto di imparare il wingfoil fosse miseramente naufragato sotto le sferzate feroci del meltemi, il vento estivo dell’Egeo. Però eravamo fiduciosi perché ci eravamo portati da casa anche il coach: mio figlio Matteo. Il primo in famiglia ad appassionarsi al wingfoil e già molto abile nel maneggiare il nuovo “ruzzino”, che per lui è diventato anche uno sport agonistico.

Matteo che “vola” col wing

Decido di fare io da cavia per primo, ma il vento forte dei primi giorni mi consente solo poche uscite col wingfoil, condite da migliaia di cadute: di schiena, di lato, di faccia, a gambe larghe, strette e incrociate. Per fortuna mi ero portato il windsurf, con cui ho potuto divertirmi e conservare un briciolo di autostima. Poi un giorno, il miracolo. Mio figlio Matteo mi propone di testare il wingfoil a Plaka, una baia di Naxos non attrezzata per accogliere surfisti e sport d’acqua: in altre parole, una spiaggia di bagnanti unti di crema solare ma, a dire di mio figlio, adatta alle mie esigenze di beginner per le sue acque piatte (flat, in gergo). Poco convinto, accetto la decisione del coach. Ci facciamo spazio con tavola, ala, muta, casco, ecc. tra le famiglie che ci guardano storto e ci mandano a quel paese in diverse lingue. Facciamo finta di non comprendere gli insulti, e ci tratteniamo a fatica dal rispondere in slang labronico. Siamo degli intrusi, evidentemente. Io e mio figlio entriamo in acqua velocemente prima che qualcuno chiami la capitaneria, mi da qualche consiglio, navigo, aspetto le prime raffiche e … miracolo: decollo, mi alzo, volo, “Tappeto” è domato, obbedisce e mi porta via. Cavolo, sono appena un metro sopra il livello del mare, ma mi sembra di essere sul trampolino alto dei Fiume. E da quel momento io e Tappeto non ci siamo più fermati. Oddio, non esageriamo, “Tappeto” mi ricorda un sacco di volte che sono ancora un beginner e – dispettoso – mi disarciona catapultandomi in mare quando mi sente troppo incerto.

Evangelista sul “tappeto volante”

Visti i risultati assolutamente inattesi – perché nel windsurf ci vogliono anni per imparare a planare – anche Serena e la piccola Maja hanno preso coraggio. Probabilmente avranno pensato: se c’è riuscito quel vecchio rimbambito del papà, ce la possiamo fare anche noi. Ma non lo ammeteranno mai.

Si sono approcciate anche loro al nuovo sport, sempre prendendo Matteo come istruttore. Entrambe le donne di famiglia hanno imparato i primi rudimenti della nuova disciplina, hanno fatto le prime catapulte in mare e cercheranno, uscita dopo uscita, di domare “Tappeto”, sul quale auguro loro di sorvolare il nostro mare.

Maja alle prime armi

Oltretutto, non per vantarmi, ma anni fa io e un pazzo bolognese avevamo ideato qualcosa di simile al wing. Tanto nessuno mi crederà, ma la racconto lo stesso.

Ai tempi andavamo in vacanza sull’isola di Lefkada, in Grecia ma sul versante ionico. Là ci trovavamo per fare windsurf con un gruppo di amici, tra cui Michele, un windsurfista bolognese simpaticissimo e – non me ne voglia – un po’ matto (ma sono certo che di questa etichetta sarà orgoglioso). La mattina all’alba eravamo soliti – io e Michele – andare a fare dei bei giri in sup, con l’obiettivo duplice di vedere i delfini (al mattino presto una famiglia di delfini frequentava la nostra baia) e sorseggiarci un caffè greco nel chiringuito di una cala raggiungibile via mare. Una mattina in sup, chiacchierando, ci siamo domandati: ma perché non sfruttare col sup la brezza del mare per andare più spediti e durare meno fatica con la pagaia? Lui ipotizza una vela, ma sul sup dove piantarla? Io replico che possiamo fare noi – col nostro corpo – da albero, “indossando” una vela a mò di pipistrelli. E muovendoci potremmo anche indirizzare la forza del vento. Certo, serviva una pinna molto lunga … per cui avevamo ipotizzato un sup con le vecchie derive (ai tempi il foil non esisteva!). Geniale! Tornati in spiaggia raccontiamo la nostra idea agli amici, che ci hanno preso per il c… per tutta la vacanza. Il progetto è dunque morto prima ancora di poter essere sperimentato e perfezionato.

Ora ditemi voi se il wing-foil non assomiglia al nostro prototipo!

Il mio prototipo…
Il wing

Insomma, questo sport era nel mio destino.

I mulini di Paros e … Robinson Crusoe

Naxos e Paros non le amo solo per gli sport d’acqua. Sono isole affascinanti per la loro storia, le bellezze naturali, l’ospitalità e la gentilezza della loro gente e … meravigliosi paesi da esplorare in bicicletta. Meglio a mio avviso se con una gravel, così da poter variare i terreni in sicurezza e percorrere i tanti bellissimi sterrati che solcano queste due isole.

Per chi avesse intenzione di trascorrerci una vacanza propongo qui di seguito una breve guida dei percorsi di Paros (Naxos ve la descrivo il prossimo anno, perché prima di farlo devo sfidare la salita al Monte Zeus, più di mille metri sopra il mare).

Anzitutto, la logistica: non preoccupatevi se non avete una bicicletta vostra, perché sull’isola si noleggiano ottime mtb, gravel e anche bici da corsa. Non avete scuse, insomma.

Poi una seconda premessa di metodo: ogni percorso che descriverò ha un suo omologo a noi tutti noto. Vi spiego la ragione. In famiglia quando c’è da scoprire un nuovo percorso in bici mandano me in avanscoperta – come fossi una guida indiana – nel caso fosse troppo difficile, battuto da cani sciolti o a rischio di sperdersi … insomma anche in bici mi usano come cavia. E quando torno dal nuovo giro relaziono al resto della famiglia, descrivendo il tragitto e le sue caratteristiche. Per farmi capire, il modo più semplice mi è sembrato quello di assimilare i percorsi scoperti alle strade note alla famiglia: il Romito, via di Popogna, la Bolgherese, la strada di Santa Luce, la via dell’Orso, il drittone di Vada e così via.

Perciò in famiglia abbiamo attribuito ai percorsi ciclabili di Paros i nomi delle “nostre” strade. Come fece il famoso personaggio letterario uscito dalla penna di Daniel Dafoe – Robinson Crusoe – il quale, naufragato sulla sua Isola della Disperazione, tentò sùbito di ricostruire per quanto gli era possibile la vita della sua campagna inglese: ciò che è noto e familiare ci fa meno paura.

L’isola di Paros è per lo più rotonda, sferzata in estate dal vento Meltemi che soffia da nord-est, giù dritto come un fuso. A fare il periplo dell’isola si percorrono circa 80 km, anche se dipende dalle strade che si scelgono. Tanto per prendere le misure.

Il nostro campo base è la sonnolenta baia di Molos, sulla costa est dell’isola, rimasta immune dal turismo di massa e frequentata da famiglie greche. Qui si nuota benissimo, perché due enormi colline coniche fanno da alfieri alla baia e la proteggono, mantenendo il mare sempre piatto.

La baia di Molos

Da Molos partono i nostri giri in bici, meglio – per ovvie ragioni climatiche – se al mattino presto o nel tardo pomeriggio.

Andiamo con ordine. Si parte da Molos verso nord, lungo costa per circa 10 km fino ad arrivare alla baia di Santa Maria. Il “romito” di Paros. Immaginatevi infatti di partire dai Tre Ponti e arrivare a Chioma – lungo il Romito – ma tutto su sterrato.

Ampelas

La strada presenta leggeri sali-scendi mai esasperati, con una sola eccezione.  Arrivati al paesino di Ambelas la strada sterrata si interrompe e finisce in spiaggia; ci sono quindi due alternative: o scendere dalla bici a mo’ di ciclocrossista, bici in spalla e si attraversa il breve tratto di arenile fino a riprendere il percorso; oppure si va all’interno e si affronta una breve salita tipo Pordoi (la nostra salita delle Pianacce). Dipende come ci si sente e cosa vi va da mangiare. Cosa c’entra il cibo? Semplice, alla fine del Pordoi come premio vi attende un albero di fichi, sempre ricco di frutti. Ma anche sull’arenile c’è un bel bar con vista mare. Scegliete. I fichi sono gratis.

L’arrivo alla baia di Santa Maria vi ripaga di ogni sforzo. Non ve la descrivo, ve la faccio vedere.

A Santa Maria si può decidere se tornare a Molos per la strada interna, tutta dritta e asfaltata: il drittone di Vada, tanto per capirci (quando ho fretta di tornare prendo quello), altrimenti si prosegue dritti in direzione Naoussa – un paesino tutto bianco in perfetto stile cicladico – che è piacevole attraversare in bici solo al mattino, perché la sera è invaso da turisti.

Poi si prosegue per la grande baia di Kolimbitres, dove si possono visitare i resti archeologici di una necropoli micenea, oppure semplicemente fare il bagno nelle sue acque cristalline. Sconsiglio di tentare la visita ai resti archeologici in bici, perché dopo le prime “pettate” la strada diventa impraticabile e tocca andare a piedi.

In alternativa alla necropoli, una volta visitata la baia di Kolimbitres, suggerisco due soluzioni alternative: la prima prevede di inforcare un bello sterrato sulla sinistra che – oltrepassando alcune colline – vi riporta sulla strada di ritorno per Molos (si tratta in sostanza di una valida alternativa al drittone asfaltato già descritto). La seconda soluzione è prendere il divertente sterrato che unisce Kolimbitres a Kamares: una strada bianca veloce. Questa strada prosegue poi dopo Kamares – diventando asfaltata – fino alla capitale Parikia.

Kolimbitres

Se poi siete ben allenati, potete tentare di arrivare a Parikia passando per le pale eoliche. L’ho battezzata la via di Santa Luce, perché come da noi la strada può passare davanti alle pale (in asfalto, come per Pastina e Pomaia) oppure fare il giro dietro (come da Chianni, tanto per capirci). Ma il giro dietro è tosto: strada sterrata con strappi in salita da fuori-soglia.

La capitale Parikia è bellissima ma affollata, anche perché ci sbarcano i traghetti: suggerisco di attraversarla passando dal lungomare – in parte pedonale – per poi ricongiungersi alla strada principale.

Usciti da Parikia ci sono almeno due alternative: proseguire sulla strada principale che va verso Punda e il sud (avrete già percorso metà dell’isola) oppure salire alla valle delle farfalle (Butterfly Valley). La seconda scelta è la mia preferita. Anche perché la salita per la valle delle farfalle – che poi in verità arriva a un meraviglioso Monastero ortodosso – assomiglia alla nostra Panoramica, che non a caso arriva al Santuario della Madonna delle Grazie. E così l’ho chiamata: la Panoramica di Paros. Anche la vista non è male.

Il Monastero in cima alla “Panoramica”

Dal Monastero si scende in picchiata (controllare bene i freni se usate bici a noleggio) verso Punda, dove si possono fare due cose: o ci si imbarca per visitare l’isola di Antiparos oppure si fa windsurf, kite o wing-foil. Io faccio tutti e tre. Ad Antiparos siamo andati nei pochi giorni in cui Eolo si è preso una giornata di relax. Per fortuna è un Dio stacanovista e succede raramente. Comunque – scherzi a parte – la visita all’isola di Antiparos vale la pena.

Panorama sulla spiaggia di Pounda e l’Isola di Antiparos

Da Punda in bici si scende verso sud e si possono raggiungere le meravigliose spiagge della parte meridionale, riparate dai venti. Anche in questo caso si può decidere di percorrere le vie principali asfaltate, che presentano delle salite niente male. In alternativa, dal paesino di Aliki, si può percorrere un sentiero sterrato che sale dapprima a un monastero e poi scende sul versante meridionale attraversando la località di Aspro Chorio. Se scegliete questo secondo percorso portatevi tanta acqua perché non troverete nulla, solo greggi di pecore.

La parte sud dell’isola è quella meno ventosa, quindi noi “fissati” di surf non ci andiamo quasi mai, se non per qualche bella nuotata. Il mare è piatto e trasparente. Ma le spiagge sono decisamente meno ventilate di quelle esposte al meltemi.         

Superata la località di Dryos si arriva nelle famosissime – per gli appassionati di windsurf – baie di Golden Beach e New Golden Beach (il nome greco in verità sarebbe Néa Chrisi Akti). Nomen omen: le spiagge sono dorate. Qui si sono svolte per tanti anni le competizioni di windsurf più importanti a livello mondiale, perché il vento è garantito. Anche quando il vento meltemi non entra, comunque soffia un vento termico che nella parte centrale della giornata garantisce 2-3 ore di windsurf.

Si naviga mure a sinistra verso l’isoletta disabitata davanti e lo scenario è meraviglioso. Oltre si vede l’isola di Naxos. Se non si è bravi col windsurf, meglio scegliere uno spot diverso, perché il rischio è di finire in Africa (il vento e la corrente spingono al largo).

Serena a Golden Beach

Tornando alla nostra bicicletta, da Golden Beach si può finalmente far rientro nella baia di Molos completando il giro dell’isola. Per questi ultimi 10 km circa ci sono moltissime alternative. Partiamo dalla più semplice. Si prosegue sulla strada principale, attraversando i paesini bianco-azzurri di Marpissa e Marmara, per arrivare a Molos. Quasi tutto asfalto e un po’ di sterrato finale. Altrimenti, decisamente più suggestivo prendere quella che Serena ha battezzato la “Bolgherese”: una strada “mangia e bevi” che da New Golden Beach passa per i paesini interni e sbuca tra sterrati a Marpissa, per poi arrivare a Molos.

O ancora, si prende la “Bolgherese” di Paros ma poi si allunga per salire fino al paesino di Lefkes, noto per i suoi mulini, illuminati la notte, come la sua cattedrale. Da Lefkes si può scendere via Kostos a Molos.

Ultima alternativa, quella più simpatica e preferita da mia figlia Maja: la strada dei 5 comuni (perchè mi ricorda la nostra “strada provinciale dei tre comuni”). Si parte sempre da New Golden Beach prendendo la “Bolgherese”, poi si passa nel cuore dei 5 paesini che si incontrano, perché con la Gravel o la Mtb si riesce facilmente a superare i pavè e gli scalini di Lefkes, Kostos, Prodromos, Marpissa e Marmara. Magari passando in mezzo ai vicoli fate attenzione alle vecchiette che escono all’improvviso dai portoni colorati di azzurro, che tutto si aspettano tranne di essere investite davanti casa da un deficiente in sella a una gravel, bardato di casco, occhiali da sole e body attillato della Livorno Triathlon.  

Se poi avete ancora un po’ di tempo, tra il paesino di Marmara e la baia di Molos ci sono moltissimi campi coltivati e altrettante stradine che li separano: un vero e proprio labirinto. Sono per lo più strade bianche, molto ben battute e divertenti da fare con la gravel. Anche se ci si perde, si può navigare a vista perché – come dicevo – la baia di Molos è protetta da due montagne che sono un riferimento sempre visibile. Se ci si vuol divertire con la mtb o la gravel, non è male percorrere queste stradine. E per i “maniaci” delle ripetute, nel bel mezzo dei campi c’è una strada asfaltata dritta e in pianura di circa 2 km, che Serena ha denominato gli “Acciaioli” di Paros. Questa volta Livorno non c’entra, perché la somiglianza è con la strada – che si chiama appunto “Acciaioli” – che va dal Lido delle Nazioni al Lido di Volano. Ma voi triathleti la conoscete per averci gareggiato.

Da ultimo, l’interno. Vi ho finora descritto il giro “periferico” dell’isola, in senso antiorario. Che ovviamente si può anche decidere di fare al contrario. Ma anche le strade interne non sono affatto male. Anzi. L’isola ha una arteria principale che va da Parikia (est) a Molos (ovest) molto suggestiva, perché sale nella parte centrale e consente una vista a 360 gradi meravigliosa. 

Dal centro dell’isola si possono affrontare due belle sfide, ciclisticamente parlando. Una è quella di salire alle antenne, il punto più alto dell’isola. Se avete una mtb si può fare, perché servono i rapporti giusti. E’ una salita ripida che non molla mai: la Voltina di Paros. Da lassù ho potuto apprezzare il volo di due falchi che cacciavano, ma visti da sopra. Cioè stavano sorvolando la montagna in cerca di prede, ma sotto di me.

La seconda sfida è invece una discesa. Nel punto più alto dell’arteria principale che taglia l’isola c’è una chiesetta. Affianco parte una strada sterrata bianca che scende fino a Naoussa, sempre in discesa e con tratti tecnici. L’aspetto più affascinante di questo percorso è il paesaggio semidesertico, che non nasconde mai la vostra strada, consentendovi di ammirare in ogni momento il serpentone bianco che si snoda davanti a voi fino al mare.

La strada bianca per Naoussa

Per rimanere ancorati al titolo della nostra rubrica, si potrebbe concludere: Not Only Surf a Paros.

Ma siccome dopo tutto questo sport viene fame, qualche consiglio di cucina tipica cicladica oltre ai classici piatti tradizionali greci: skordalia (crema d’aglio e patate), fava (crema di ceci con cipolle caramellate e capperi), ceci cotti al forno nel vino, gouna (pesce azzurro essiccato e speziato) e Galaktobureko – come dolce – per finire in bellezza.

Serena Rossi